La morte delle cattedrali

Posted: 26 Feb 2017 06:30 AM PST
Forse conosciamo già questo scritto di Marcel Proust. 
E' davvero illuminante circa il senso del sacro legato al monumento delle cattedrali anche se lo Scrittore non poteva prevedere che esse sarebbero state violentate e stravolte all'interno con la fraudolenta espressione di "adeguamento liturgico".
Sono trascorsi più di cento anni da quest'intervento (1904), ma è davvero di grande attualità. 
AC

 La morte delle cattedrali, di Marcel Proust*  

* Questo studio di Marcel Proust apparve nel «Figaro» del 16 agosto 1904, in occasione della legge di separazione della Chiesa dallo Stato francese, che prevedeva fra l’altro l’abolizione dei luoghi di culto, l’inventario di tutti i beni della Chiesa di Francia, l’istituzione delle cultuali pena la confisca di quegli stessi beni da parte dello Stato, la «polizia dei culti», ecc. 
Legge che, come è noto, fu occasione di vittoria spirituale da parte dell’episcopato francese, obbediente all’ordine di San Pio X: lasciarsi spogliare serbando, in povertà assoluta, il mandato pastorale. 
Oggi che senza alcuna pressione da parte di governi laici si ode parlare negli stessi ambienti ecclesiastici di «sacrificio necessario» delle cattedrali e del canto gregoriano sembra opportuno rileggere la sottile, sferzante, appassionata perorazione di Proust in difesa dell’immenso tesoro di cui s’è nutrita per secoli – con la fede cristiana – tutta la grande arte di Occidente, e che non è facile comprendere a chi o a che cosa voglia oggi essere immolato [N.d.T.]

Supponiamo per un istante che la religione cattolica sia spenta da secoli, che le tradizioni del suo culto siano perdute. 

Sole, monumenti fatti inintelligibili ma rimasti mirabili, di una fede obliata, sopravvivono le cattedrali, mute e dissacrate. 

Supponiamo quindi che un giorno alcuni eruditi suffragati da documenti arrivino a ricostruire le cerimonie che vi si celebravano un tempo, per le quali erano state costruite, che erano precisamente il loro significato e la loro vita, senza le quali esse non erano ormai più che lettera morta; e supponiamo allora che alcuni artisti, sedotti dal sogno di restituire momentaneamente la vita a quei grandi vascelli divenuti silenziosi, vogliano rifarne per un’ora il teatro del dramma misterioso che vi si svolgeva, al centro di canti e profumi: in una parola, intraprendano, per la Messa e le cattedrali, ciò che i felibri hanno realizzato per il
teatro di Orange e le antiche tragedie. 

Esiste un governo appena sollecito del passato artistico della Francia che non sarebbe pronto a sovvenzionare largamente un cosi magnifico tentativo? 

Si può forse pensare che ciò che esso fa per delle rovine romane, non lo farebbe per dei monumenti francesi, per quelle cattedrali che sono probabilmente la più alta ma indiscutibilmente la più originale espressione del genio di Francia? 

Poiché alla nostra letteratura si può preferire la letteratura d’altri popoli, alla nostra musica la loro musica, alla nostra pittura, alla nostra scultura, le loro; ma è in Francia che l’architettura gotica ha creato i suoi primi e più perfetti capolavori. 

Altri paesi non fecero che imitare la nostra architettura religiosa, e senza uguagliarla. 

Cosi dunque (riprendo la mia ipotesi), ecco degli eruditi che hanno saputo ritrovare il significato perduto delle cattedrali: le sculture, le vetrate riprendono il loro senso, un profumo misterioso aleggia di nuovo nel tempio, un dramma sacro vi ha luogo, la cattedrale si rimette a cantare. 

Il governo sovvenziona con ragione, con maggior ragione che le rappresentazioni del teatro d’Orange, dell’Opéra Comique e dell’Opéra, questa resurrezione delle cerimonie cattoliche, di un interesse storico, sociale, plastico, musicale di cui la sola bellezza è al disopra di tutto ciò che un artista poté mai sognare, e alla quale forse soltanto Wagner sembrò accostarsi, imitandola, nel Parsifal. 
Carovane di snob vanno alla città santa (sia Amiens, Chartres, Bourges, Laon, Reims, Rouen, Parigi, la città che volete, tante sublimi cattedrali abbiamo!), e una volta l’anno riprovano l’emozione che un tempo andavano a cercare a Bayreuth e ad Orange: gustare l’opera d’arte nella cornice stessa che per essa fu costruita. 

Disgraziatamente, qui come a Orange, essi rimangono dei curiosi, dei dilettanti; qualsiasi cosa facciano, non abita più in loro l’anima di un tempo. 

Gli artisti che son venuti ad eseguire i canti, quelli che incarnano i sacerdoti, possono essere colti, penetrati dello spirito dei testi; il ministro della pubblica istruzione non sarà avaro, con loro, di decorazioni né di complimenti. 

Eppure, non ci si può impedire di esclamare: «Ahimè, quanto più belle dovevano essere queste feste, al tempo in cui erano dei sacerdoti a celebrare l’uffizio e non per dare a dei letterati un’idea di quelle cerimonie, ma perché avevano nella loro virtù la stessa fede degli artisti che scolpirono il giudizio universale nel timpano del portico o dipinsero le vite dei santi sulle vetrate dell’abside. 
Come l’opera tutta intera doveva parlar più alto, più giusto, quando tutto un popolo rispondeva alla voce del sacerdote, piegava i ginocchi al campanello dell’elevazione, non, come in queste rappresentazioni retrospettive, al modo di freddi figuranti stilizzati ma perché anche loro, come il sacerdote, come lo scultore, credevano. 
Ma ahimè, tali cose sono altrettanto lontane da noi quanto il pio entusiasmo del popolo greco alle rappresentazioni del suo teatro, e le nostre “ricostruzioni” non potranno mai darne un’idea». 

Ecco che cosa si direbbe se la religione cattolica non esistesse più, se degli eruditi fossero giunti a riscoprirne i riti, se degli artisti avessero provato a resuscitarli per noi. Ma per l’appunto quella religione esiste ancora e non ha per così dire mai mutato dal gran secolo in cui le cattedrali furono edificate. 

Non abbiamo bisogno, per immaginare ciò che fosse, vivente e nel pieno esercizio delle sue funzioni sublimi, una cattedrale del tredicesimo secolo, di farne, come del teatro di Orange, la cornice di una ricostruzione, di retrospettive esatte forse ma gelide. 
Basta entrarvi a una qualunque ora del giorno in cui si celebri un uffizio. 

La mimica, la salmodia, il canto non sono affidati qui ad artisti senza persuasione. I ministri stessi del culto ufficiano qui, non secondo un pensiero estetico ma per fede, e per ciò tanto più esteticamente. 

Le comparse non si potrebbe desiderarle più vive e più sincere, se il popolo stesso si degna di comparire per noi senza saperlo. Si può dire che, grazie alla persistenza nella Chiesa cattolica degli identici riti e, d’altro canto, della fiducia cattolica nel cuore dei francesi, le cattedrali non siano soltanto i più begli ornamenti della nostra arte ma i soli che vivano ancora la loro vita integrale, che siano rimasti in rapporto con lo scopo per il quale furono edificati. 

Ora, la rottura del governo francese con Roma sembra rendere prossima la discussione e probabile l’adozione di un progetto del signor Briand, ai termini del quale, di qui a cinque anni, le chiese potranno essere e saranno spesso dissacrate; non solo il governo non sovverrà più alla celebrazione delle cerimonie rituali nelle chiese, ma potrà trasformarle in tutto ciò che gli piacerà: museo, sala di conferenze, casino da giuoco. 

O voi, signor André Hallays, che andate ripetendo che la vita si ritira dalle opere d’arte non appena non servano più ai fini che presiedettero alla loro creazione, e che un mobile divenuto ninnolo, un palazzo divenuto museo raggelano, non riescono più a parlare al cuore e finiscono per morire - io spero che cesserete un istante di denunciare i restauri più o meno goffi che minacciano ogni giorno le città di Francia che avete preso a vigilare, e che vi leverete, alzerete la voce a pungolare se occorre il signor Chaumié, a chiamare in causa, al bisogno, il signor de Monzie, a convocare il signor John Labusquière, a riunire la Commissione dei monumenti storici. 

Il vostro zelo ingegnoso fu spesso efficace, non lascerete morire, adesso, e in un colpo solo, tutte le chiese di Francia. 

Non vi è oggi un socialista di buon gusto che non deplori le mutilazioni inflitte dalla Rivoluzione alle nostre cattedrali, tante statue, tante vetrate infrante. 

Ebbene, meglio devastare una chiesa che dissacrarla. 

Finché vi si celebra la Messa, per mutilata che sia essa conserva ancora la sua vita. 

Dal giorno in cui viene dissacrata è morta, e se anche sia protetta come monumento storico di celebrazioni scandalose, non è più che un museo. 

Si può dire alle chiese ciò che Gesù diceva ai suoi discepoli: «Se non continuerete a mangiare la carne del Figlio dell’Uomo, e a bere il suo sangue, non vi è più vita in voi» (San Giovanni, VI, 55), quelle parole misteriose e così profonde del Salvatore fatte, in questa nuova accezione, assioma d’estetica e di architettura. 

Quando il sacrificio della carne e del sangue del Cristo, il sacrificio della Messa, non sarà più celebrato nelle chiese, non vi sarà in esse più vita. 

blog.messainlatino.it/2017/02/tremenda-attualita-di-uno-scritto-di.html

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